LASTRE DI RIVESTIMENTO CON FREGI DORICI A PALESTRINA IN ETA’ ELLENISTICA
Sono stati recentemente pubblicati gli Atti di Deliciae fictiles, Quinta Conferenza internazionale sulle terrecotte architettoniche e sui sistemi decorativi dei tetti in Italia, organizzata dall’Università di Amsterdam e dall’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, e tenutasi al MANN di Napoli dal 15 al 18 marzo 2018.
I templi, con i loro tetti riccamente decorati, sono stati gli edifici più prestigiosi nel paesaggio urbano dell’Italia antica. Nonostante la condizione frammentaria dei loro resti, questi monumenti forniscono importanti informazioni sulla costituzione delle identità politiche, sociali e artigianali nella cultura mediterranea di epoca pre-romana. I partecipanti al convegno hanno discusso proprio sulla rete tra le élite patronali e le comunità di artigiani specializzati che erano responsabili della sofisticata decorazione in terracotta dei templi in Italia tra il 600 e il 100 a.C., e sull’organizzazione della loro produzione, distribuzione e consumo.
Nel libro, è anche un contributo di Laura Ambrosini – Primo ricercatore dell’Istituto di Studio sul Mediterraneo Antico del Consiglio nazionale delle Ricerche di Roma – sull’archeologia prenestina: Produzione di lastre di rivestimento con fregi dorici a Palestrina in età ellenistica (pp. 407-416).
Il fregio fu rinvenuto da Giorgio Gullini nel 1953, in un ambiente in fondo alla rampa sinistra del santuario della Fortuna, durante gli scavi effettuati nel dopoguerra, e pubblicato con un disegno dallo stesso Gullini e brevemente menzionato da Maria Josè Strazzulla nel 1987. Ulteriori ricerche di Ambrosini nel deposito del Complesso degli Edifici del Foro hanno portato al rinvenimento di alcuni frammenti pertinenti ad almeno altre due lastre di rivestimento. L’argilla è rosso chiaro con inclusi neri e rossi, e i frammenti presentano dei fori per il fissaggio. Altre ricerche nel deposito del santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, dove sono diversi materiali prenestini, hanno portato al rinvenimento di una lastra di rivestimento policroma dello stesso tipo, realizzata in gesso, dove le figure umane sono contrapposte. Ambrosini ipotizza che la lastra in gesso fosse stata realizzata nel 1956 da Giovanna Quattrocchi – prima curatrice del nuovo Museo Archeologico – come ricostruzione del fregio esposto nella vetrina XII.
Nell’articolo, la ricercatrice affronta diversi problemi ed ipotizza che il disegno pubblicato da Gullini raffiguri una ricostruzione ipotetica del tipo di lastra, visto che ne furono rinvenuti almeno due, così come una ricostruzione ipotetica a fini didattici potrebbe essere la lastra in gesso a colori. Poiché il disegno ricostruttivo e la lastra in gesso sono differenti, ipotizza che sia il disegno a raffigurare in modo corretto le lastre fittili rinvenute, dove le figure umane sono tutte rivolte a destra, così come ipotizza che la testa femminile appartiene ad una Menade e l’alternanza più logica sarebbe con una testa di satiro piuttosto che con una maschera teatrale.
Infine, ignorando quante fossero le metope in ciascuna lastra (nel disegno di Gullini sono due e mezzo, mentre nella lastra in gesso sono tre) e se la figura virile fosse rivolta sempre verso destra (come nel disegno) o anche verso sinistra (come nella lastra in gesso) è favorevole a quest’ultima ipotesi. Passa poi all’interpretazione della decorazione delle lastre confrontandole con altre provenienti da altri edifici templari o tombali. Il fatto che le lastre fossero state trovate nella zona del santuario, ad una quota molto più alta rispetto a quella della necropoli della città, sembra ostacolare l’ipotesi che potessero appartenere ad un monumento funerario. Strazzulla Rusconi assegnò il fregio, per le sue piccole dimensioni, al rivestimento di altari; Ambrosini aggiunge anche l’ipotesi di un monumento votivo o edicola o fontana.
La ricercatrice conclude il suo articolo ipotizzando a Praeneste una possibile produzione locale di fregi dorici tra III e II sec. a.C., dato particolarmente importante perché il fregio dorico è molto diffuso nella decorazione architettonica in pietra, meno frequente in quella fittile. Il fregio dorico del santuario della Fortuna Primigenia mostra scudi oplitici alternati a bucrani, patere e rosette intorno. “I pochi dati cronologici desumibili dai frammenti di lastre rinvenuti a Palestrina – conclude – sembrerebbero inquadrare la diffusione dei fregi dorici fittili come un fenomeno a sé stante, probabilmente connesso ai rapporti fra il sito laziale, l’Etruria e la Magna Grecia…. La collocazione topografica di Palestrina, sul corridoio che unisce centro e sud Italia, può certamente aver favorito nel centro latino lo scambio e la diffusione di iconografie e tecniche di produzione”.