UN SAGGIO DI FRANCESCO PARNISARI: DALLA VALCUVIA A PALESTRINA

UN SAGGIO DI FRANCESCO PARNISARI: DALLA VALCUVIA A PALESTRINA

13 Aprile 2022 0 Di angelo

Il prof. Francesco Parnisari, collaboratore della Cattedra di Storia Moderna della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Cattolica di Milano, mi ha recentemente inviato una copia del suo articolo “Dalla Valcuvia a Palestrina: assenze, ritorni, abbandoni”, pubblicato su “Terra e gente” n° 25  del 2017.

L’articolo è incentrato sull’emigrazione degli abitanti della Valcuvia, una valle situata a nord della provincia di Varese, nei paesi del centro Italia, in particolare a Palestrina e nel suo circondario nei secoli XVI-XVII.

Il documento più antico trovato da Parnisari è un atto di vendita rogato nel 1584 in una bottega di Palestrina dal notaio Cesare Borgia. Nell’atto, un certo Lorenzo de Tognallis, lasciò per cento scudi pontifici al fratello Dionisio la sua quota dell’eredità paterna, posseduta con altri famigliari, consistente in case, stalle e appezzamenti distribuiti fra Duno e Cuveglio, due paesi della Valcuvia. Il notaio Borgia è stato un punto di riferimento anche per altri emigranti di Duno e Cavona per sistemare i loro affari.

Nei primi anni del Seicento, Palestrina e i paesi dei dintorni, furono metà di molti operai ed artigiani lombardi che emigrarono per trovare lavoro, un’emigrazione al contrario di quanto avviene ormai da molti anni dal sud al nord.

Nell’articolo si legge delle vicende dei vari Tagliaferro di Arcumeggia specializzati nell’arte del calzolaio, in particolare di Giovanni Antonio Tagliaferro, cresciuto in una bottega a Palestrina, il quale nel 1627 fu incaricato da suo padre di rappresentarlo nelle divisioni del denaro e degli immobili posseduti in città dal parentado, che “evidentemente non aveva riversato tutti i suoi guadagni nel mercato immobiliare della valle ma anche in quello del centro in cui operava”. I Tagliaferro erano calzolai specializzati, infatti, nel 1640 anche un certo Franchino che si era stabilito a Palestrina, nominò procuratore suo figlio, in partenza per la Valcuvia, dandogli la possibilità di vendere alcuni beni situati in patria.

Conseguenze dell’emigrazione si rifletterono anche sulla parlata e sull’onomastica degli artigiani lombardi, come il nome Tarquinio, tipicamente romano, ed alcune espressioni romanesche che sopravvissero nel dialetto locale. Molti artigiani si sposavano con prenestine e si stabilirono definitivamente a Palestrina, come i Tagliaferro, cognome ancora oggi esistente, altri, con l’età avanzata e i malesseri della senilità, furono costretti a tornare in Lombardia. Fra gli emigranti c’era comunque la tendenza a mantenere legami più o meno stretti con i luoghi d’origine, col focolare. “Va comunque precisato – continua Parnisari – che nei distacchi definitivi non sono mai riscontrabili sentimenti di autentico rifiuto verso la terra natale, se non nelle motivazioni addotte da Antonio Tagliaferro per rendere permanente la sua residenza a Palestrina una volta vendute le proprietà di Arcumeggia. Il paese, a suo dire, era troppo inospitale (in “montibus silvestris”) e soggetto come tutta la Lombardia Spagnola a “molestias et onera” intollerabili per via delle continue guerre con la Francia”.

I dati esposti nell’articolo di Parnisari costituiscono un quadro parziale delle migrazioni verso Palestrina, che pare abbia riguardato solo alcuni paesi della valle, specialmente Cavona ed Arcumeggia, e che sembrano andare scomparendo nella seconda metà del Seicento. Le pestilenze in Lombardia (1630-31) e in Italia centrale (1656-57) potrebbero aver falcidiato diverse famiglie protagoniste delle migrazioni, ma più incisiva, molto probabilmente, fu la decisione di molti emigranti  di spostarsi in Etruria ed in mete che nel frattempo erano divenute più appetibili.

Certamente lo studio di molte carte inesplorate di altri notai prenestini ci farebbe conoscere altri mestieri, le forme associative, le modalità di insediamento e le condizioni di tipo socio-economico che costituirono per molti emigranti lombardi un fattore di attrazione verso la nostra città.

Nelle foto: un particolare del testamento di Giovanni Angelo de Forzanettis del 22 luglio 1631; un particolare della mappa Campagna di Roma, olio Latium, di Fabio magici, della prima metà del sec. XVII.