NUOVI DATI PER L’ANFITEATRO DI PRAENESTE E IL C.D. NINFEO DEL SOLE
È stato recentemente pubblicato, sul Bollettino di Archeologia on line (XIII, 2022/3) un articolo di Andrea Fiasco su nuovi dati relativi all’anfiteatro di Praeneste e sul c.d. ninfeo del sole, acquisiti dalle foto aeree, dalla documentazione archivistica e dalle testimonianze archeologiche esistenti. Il contributo è parte di una ricerca più ampia che Fiasco sta conducendo ormai da tre anni, diretta ad un riesame della documentazione archivistica di età imperiale ed una ricostruzione attendibile dell’evoluzione storico-urbanistica della città nel periodo post-repubblicano.
Il primo degli edifici presi in esame in questo contributo è l’anfiteatro, la cui presenza a Praeneste è certa, ma non è stata mai identificata la posizione. La certezza è data da alcune iscrizioni, come quella onoraria di Lucio Urvineio Filomuso, che attesta l’esistenza in età augustea di una struttura teatrale lignea, o quella di Marco Vareno Tiranno, che commemora la costruzione di un anfiteatro stabile nel I sec. d.C., o ancora quella di Cneo Voesio Apro, curatore dei giochi e delle feste. A queste iscrizioni si affiancano le fonti letterarie, prima fra tutte gli Atti della passione di Agapito, che ricordano i supplizi patiti dal giovane martire nell’anfiteatro di Preneste.
L’iscrizione di Vareno, conservata nel Museo Diocesano Prenestino di Arte sacra, testimonia la costruzione di un anfiteatro stabile durante il regno dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.). L’angolazione dell’epigrafe di 45 gradi significa che il testo veniva letto dall’alto verso il basso, e non viceversa, e quindi per Fiasco è probabile che fosse collocata alla base delle gradinate dei suoi spalti o della balaustra che li divideva nell’arena. Marco Vareno era un liberto della famiglia dei Vareni che, probabilmente, aveva messo a disposizione una parte del suolo su cui fu edificata la struttura. La localizzazione fino ad oggi non è mai stata accertata; il CIL riporta la notizia che i frammenti dell’epigrafe furono trovati in località Colle dell’Arco, nei pressi del crocevia de I Cori, dove fu costruita una cappella che ricordava il luogo in cui fu martirizzato il santo. Molto probabilmente l’anfiteatro si trovava nei terreni dirimpetto il colle suddetto e ciò è attestato da alcune fotografie aeree e altri rilevamenti aerofotogrammetrici che testimoniano la presenza di tracce di forma ellittica che sembrano restituire un edificio di dimensioni lungo circa 130 m. e largo 90 c. Il riscontro di eventuali tracce o resti sul terreno hanno portato Fiasco a visitare una struttura muraria in conglomerato cementizio che sembra avere un andamento curvilineo, ed ipotizza che potrebbe trattarsi del resto della fondazione di parte della gradinata degli spalti.
Riguardo l’edificio che si trova a fianco dell’attuale via Prenestina in direzione di Cave, esso è stato oggetto, fin dal ‘400, di disegnatori e vedutisti che nelle loro rappresentazioni lo hanno definito “Ninfeo del Sole” o “Tempio di Serapide”. Il primo a disegnarlo è stato Fra’ Giocondo che documenta un complesso architettonico costituito da un edificio principale composto da una sala ottagonale comunicante con ambienti contigui. Cecconi (1756) ricorda che dal sito, all’inizio del Seicento, furono recuperati numerosi materiali architettonici impiegati nella ricostruzione della chiesa di S. Antonio Abate. Nel 1775 è Pierre Adrien Paris che ci lascia una preziosa planimetria del monumento e descrive diversi capitelli corinzi e frammenti policromi marmorei che dovevano decorare l’edificio. Nel 1943, il monumento subì interventi di restauro da parte dell’allora Soprintendenza alle Antichità e, nell’occasione, fu Salvatore Aurigemma ad aggiornare la planimetria. L’ultima planimetria aggiornata è di Alessandro Pintucci (2003). Diverse sono state le interpretazioni date nel corso dei secoli, Montano (1638) lo ha interpretato come tomba monumentale, Marucchi (1932) come ninfeo di una villa, e Sear (1977) come aula termale.
Le caratteristiche architettoniche, soprattutto della sala ottagonale, rimandano ad ambienti simili presenti nelle ville del III-IV sec. d.C. Molto importanti sono diversi graffiti incisi sull’intonaco dell’unica sala interamente conservata che – scrive Fiasco – “sembrano costituire un tassello di un più ampio mosaico che ci illumina sull’utilizzo di questa zona della città, dove rappresentativi edifici pubblici e sontuose dimore private convivessero fianco a fianco. Le raffigurazioni rinvenute all’interno del padiglione residenziale richiamano un diffuso costume di riprodurre con enfasi il piacere, il divertimento e l’interesse evocato dai giochi gladiatori, dagli spazi dove avevano sede e dalle attività connesse”.
Nelle foto: 1) i due frammenti con l’iscrizione di Marco Vareno Tiranno; 2) Gmelin F.W., Tempio detto di Serapide a Palestrina, 1793.
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