Il VASO BARBERINI-PORTLAND AL BRITISH MUSEUM

 Il VASO BARBERINI-PORTLAND AL BRITISH MUSEUM

20 Novembre 2020 1 Di angelo

Nelle due cartoline che presentiamo è raffigurato il vaso Barberini-Portland; la didascalia dice che era conservato nella sala degli ornamenti d’oro (Gold Ornament Room), al British Museum.

Nonostante la vasta bibliografia esistente, non si conosce l’esatta provenienza del vaso, ma alcuni indizi ci portano a pensare che fosse stato trovato a Palestrina nella prima metà del ‘500. Il primo proprietario conosciuto, infatti, è il cardinale Francesco Maria Del Monte, che fu vescovo di Palestrina dal 1615 al 1621: questi lo vendette per 500 scudi al cardinale Francesco Barberini. Un altro indizio a favore della provenienza prenestina potrebbe venire da alcuni disegni della decorazione del vaso che, insieme a quelli commissionati da Federico Cesi e riproducenti diciotto particolari del “mosaico Barberini”, sono confluiti nella collezione di Cassiano Dal Pozzo, conservata nella Royal Library di Londra.
Tre testimonianze letterarie, infine, avvalorano questa tesi. La prima è di Lady Morgan, una scrittrice francese che nelle memorie sulla vita di Salvator Rosa (1824) così scrive relativamente agli scavi fatti dai Barberini a Palestrina: «Ce fut dans cet excavations que l’on trova le vase Portland si long-temps l’ornement du Palais Barberini à Rome».Nella rivista inglese The Saturday Magazinedel 1844, in un articolo sull’artista Poussin, viene detta la stessa cosa, così come afferma anche D’Azeglio R. nel 1861 nel suo libro Studi storici e archeologici sulle arti del disegno.

Il vaso rimase di proprietà dei Barberini fino al 1780, quando la principessa Cornelia Costanza, sommersa da debiti di gioco, lo vendette ad un mercante scozzese residente a Roma. Da questi passò per mille sterline a sir William Gavin Hamilton (1730-1803), antiquario londinese, che non era nuovo a trattare oggetti di provenienza prenestina; nel 1772, infatti, aveva venduto al British Museum una grande quantità di antichità (circa duemila tra vasi, bronzi, sculture romane ed etrusche) costituendo la prima grande collezione di reperti classici del Museo e, nel 1793, aveva “scoperto” nella Villa di Adriano la famosa statua di Antinoo, oggi ai Musei Vaticani.

Hamilton, nel 1783, vendette il vaso per una grossa cifra alla vedova del Duca di Portland. La Duchessa, però, se lo godette solo un anno, perché morì nel 1785 e i suoi eredi, pochi mesi dopo, lo misero all’asta insieme all’intera collezione d’arte. Il vaso rimase in possesso dei nuovi proprietari fino al 1945 quando, per cinquemila sterline, fu venduto definitivamente al Museo londinese.

Il vaso si compone di due strati sovrapposti: uno azzurro cupo trasparente, l’altro bianco opaco. Tra le varie proposte interpretative delle raffigurazioni mitologiche, gli amori di Zeus Ammone ed Olimpia, Atia madre di Augusto, ed Apollo, citiamo quella di Winckelmann (1776) il quale vi ha visto il mito di Peleo e Teti. Su un lato si vede una donna (Teti) seduta, che tiene un serpente nella mano sinistra, ed un uomo (Peleo) a cui ella porge la mano. Il serpente è la rappresentazione delle diverse trasformazioni con le quali Teti contava di sfuggire al matrimonio. Il dio che le sta davanti è Nettuno; in alto è Amore. Sull’altro lato del vaso è ancora Teti sdraiata, con una torcia soffocata, emblema del sonno; accanto siede Peleo. L’altra figura assisa e con una lancia nella mano destra è la ninfa del monte Pelio, dove si svolge la scena.