IL VASO BARBERINI PORTLAND AL BRITISH MUSEUM

IL VASO BARBERINI PORTLAND AL BRITISH MUSEUM

25 Agosto 2022 0 Di angelo

Nella sala 70 del British Museum è esposto il Vaso Barberini-Portland, realizzato in vetro e decorato a cammeo,  considerato un capolavoro dell’arte vetraria.

Non si conosce il luogo dove fu scoperto ma diversi indizi ci portano verso una provenienza prenestina. Il primo che lo menziona è Nicolas de Peiresc che scrive di averlo visto nell’inverno del 1600 nelle collezioni del cardinal Francesco Maria Del Monte a Roma. Dunque il cardinale è il primo proprietario conosciuto ed egli fu vescovo di Palestrina dal 1615 al 1621. Fu probabilmente in quegli anni che lo vendette per 500 scudi al cardinale Francesco Barberini che, dopo l’acquisto del feudo prenestino nel 1630, si prodigò anche per recuperare tutti i pezzi del mosaico nilotico che era stato smembrato dal card. Andrea Peretti, tra il 1625 e il 1625.

Un altro indizio a favore della provenienza prenestina potrebbe venire da alcuni disegni della decorazione del vaso che, insieme a quelli commissionati da Federico Cesi e riproducenti diciotto particolari del mosaico nilotico, sono confluiti nella collezione di Cassiano Dal Pozzo, conservata nella Royal Library di Londra.

Tre testimonianze letterarie, inoltre, avvalorano questa tesi. La prima è di Lady Morgan, una scrittrice francese che nelle memorie sulla vita di Salvator Rosa così scrive relativamente agli scavi fatti dai Barberini a Palestrina: «Ce fut dans cet excavations que l’on trova le vase Portland si long-temps l’ornement du Palais Barberini à Rome».Nella rivista inglese “The Saturday Magazine” del 1844, in un articolo sull’artista Poussin, viene detta la stessa cosa, così come afferma anche  D’Azeglio R. nel 1861.2

Il vaso rimase di proprietà dei Barberini fino al 1780, quando la principessa Cornelia Costanza, sommersa da debiti di gioco, fu costretta a venderlo ad un mercante scozzese residente a Roma. Da questi passò per mille sterline a sir William Hamilton (1730-1803), antiquario londinese, membro della Royal Society, collezionista d’arte e di reperti archeologici, che fu ambasciatore inglese a Napoli dal 1764 al 1800. Egli non era nuovo a trattare oggetti di provenienza prenestina, perché nel 1793 aveva “scoperto” nella Villa di Adriano, tra gli altri, la famosa statua di Antinoo, che non riuscì a portare in Inghilterra ed è oggi ai Musei Vaticani. Nel 1772, Hamilton aveva venduto al British Museum una grande quantità di antichità (circa duemila tra vasi, bronzi, sculture romane ed etrusche) costituendo la prima grande collezione di reperti classici del Museo.

Nel 1783, lo stesso Hamilton vendette il vaso per una grossa cifra alla vedova del Duca di Portland. La Duchessa, però, se lo godette solo un anno, perché morì nel 1785 e i suoi eredi, pochi mesi dopo, lo misero all’asta insieme all’intera collezione d’arte. Il vaso rimase in possesso dei nuovi proprietari fino al 1945 quando, per cinquemila sterline, fu venduto definitivamente al British Museum, a cui era stato già prestato per mostre in diverse occasioni. In una di queste, nel 1845, un giovane di nome William Lloyd, approfittando della mancanza di custodi nella sala, colpì il vaso esposto in una teca di vetro e lo frantumò in più di duecento frammenti. Il vaso fu restaurato magistralmente da John Doubleday, e da allora ha subito altri due restauri, l’ultimo dei quali nel 1988.

Si compone di due strati sovrapposti: uno azzurro cupo trasparente, l’altro bianco opaco. La sovrapposizione imita così bene l’onice che per molto tempo gli archeologi lo descrissero come un cammeo antico. Varie sono state le proposte interpretative delle raffigurazioni mitologiche, dagli amori di Zeus Ammone ed Olimpia (De la Chausse 1690) a quelli di Atia, madre di Augusto, con Apollo (Simon 1957, Painter e Whitehouse 1990). Altri (Winckelmann 1776 e Millingen 1829) vi hanno visto la riproduzione del mito di Peleo e Teti, le nozze. Su un lato si vede una donna (Teti) seduta, che tiene un serpente nella mano sinistra, ed un uomo (Peleo) a cui ella porge la mano. Il serpente è la rappresentazione delle diverse trasformazioni con le quali Teti contava di sfuggire al matrimonio. Il dio che le sta davanti è Nettuno; in alto è Amore. Sull’altro lato del vaso è ancora Teti sdraiata, con una torcia soverchiata, emblema del sonno; accanto siede Peleo. L’altra figura assisa e con una lancia nella mano destra è la ninfa del monte Pelio, dove si svolge la scena. Non è di questa idea Erasmus Darwin che vi ha riconosciuto l’allegoria della vita e della morte; egli parla del vaso nella prima parte del libro The Botanic Garden. L’ultima interpretazione alla scena raffigurata nel vaso, è quella data nel 2004 da Walker che vi ha riconosciuto Antonio sedotto da Cleopatra sotto gli occhi del fondatore della gens Atonia.3

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  1. Mémoires sur la vie et le siècle de Salvator Rosa, par Lady Morgan, Paris 1824, T. I, pag. 146.
  2. The Saturday Magazine n° 757, apr. 1844, Poussin and his works, pp. 145-148; D’Azeglio R., Studi storici e archeologici sulle arti del disegno, Firenze 1861, vol. II, pag. 194.
  3. Pinci A. (a cura di), Antichità di Praeneste nelle stampe, Palestrina 2013, in part. 1786-Giovanni Battista Cipriani, Vaso Barberini Portland, pp. 57-60.

Bibl.: Esposito A., Fatibene L., Rotundi S., Le forme decorate; tecniche e decorazioni, www.chimicadelrestauro.it

Darwin E., The Botanic Garden, London 1791, in part. Note XXII Portland Vase, pp. 186-192.

De Sanctis Ricciardone P., Ultracorpi. Figure di cultura materiale e antropologia, Napoli 2007, in part. Frammento del vaso Portland, pp. 23-26.