JOSEPH ADDISON, UNO SCRITTORE INGLESE DEL ‘700 IN VISITA A PALESTRINA
Joseph Addison è stato uno dei maggiori autori inglesi del ‘700. Nato nel 1672 a Milston e morto nel 1719 a Kensington, è stato giornalista, poeta e drammaturgo.
Studiò i classici all’Università di Oxford, e ne rimase talmente colpito che nel 1693 dedicò un poema all’affermato poeta John Druden. L’anno seguente tradusse le Georgiche di Virgilio e pubblicò il suo primo libro, dedicato proprio alle vite dei poeti inglesi. Nel 1711 fondò il giornale The Spectator, ed è considerato l’antesignano del giornalismo inglese.
Nel 1699 iniziò la carriera di diplomatico per cui fece molti viaggi in Europa e, naturalmente, anche in Italia tra il 1701 e il 1703. Addison è fermamente convinto che non esiste luogo al mondo dove un viaggiatore possa trovare tanta ricchezza e stimoli quanti in Italia e descrive i luoghi partendo da ciò che di quei luoghi hanno scritto i classici, dalle fonti letterarie.
Le impressioni dei suoi viaggi, le osservazioni di luoghi e genti, le pubblicò nel libro Remarks on several parts of Italy(Londra 1705), cioè Osservazioni su varie parti d’Italia. Nel suo viaggio visita tutte le più importanti città del nord e centro Italia, spingendosi fino a Napoli, le classiche mete del Grand Tour. Un lungo capitolo lo dedica a Roma ed un altro, intitolato “Towns within the neighbourhood of Rome”, alle città nelle vicinanze di Roma.
“Ho passato tre o quattro giorni a Tivoli, Frascati, Palestrina e Albano” , scrive Addison, e si presume che abbia dedicato un giorno ad ognuna delle suddette città. Il primo giorno, dunque, lo dedica a Tivoli, visitando le sulfuree acque Albule, le rovine del tempio della Sibilla, la villa Medici e la cascata dell’Aniene. Poi si sposta a Frascati “dove – scrive – ho avuto la soddisfazione di vedere il primo schizzo di Versailles nei viali e nei giochi d’acqua. Il Tuscolo di Cicerone si trovava in un luogo chiamato Grottaferrata, a circa due miglia da questa città… Andando a Frascati abbiamo avuto una bella vista del Monte Algido”. Nell’escursione sui Colli Albani, dice “di essersi spinto fino a Nemi, che prende il nome dal Nemus Dianae. Tutta la campagna circostante è ancora invasa da boschi e boscaglie”, poi parla di Albano, del suo lago e della straordinaria prospettiva dal giardino dei Cappuccini, di Genzano e del palazzo del principe Cesarini ad Ariccia.
Prima di giungere a Palestrina, annota lungo il cammino due luoghi che conosceva bene dai suoi studi classici, come il lago Regillo, “famoso per l’apparizione di Castore e Polluce, che qui furono visti abbeverare i loro cavalli dopo la battaglia tra i Romani e il genero di Tarquinio”, ed il Lago Gabino “che è molto più grande del primo”.
Lasciamo allo stesso Addison il racconto della visita a Palestrina. “Abbiamo lasciato la strada per circa mezzo miglio per vedere le sorgenti di un moderno acquedotto. È divertente osservare come le numerose piccole sorgenti e ruscelli, che fuoriescono dai fianchi della montagna, vengono raccolti e convogliati attraverso piccoli canali coperti nella cavità principale dell’acquedotto. Ebbe certamente molta fortuna Roma a poter costruire molti acquedotti per la vicinanza di diverse montagne… Palestrina sta molto in alto, come la maggior parte delle altre città d’Italia, col vantaggio delle fresche brezze, per cui Virgilio la chiama Altum, e Orazio Frigidum Praeneste. Stazio la chiama Praeneste Sacrum, a causa del famoso tempio della Fortuna che vi si trova. Ci sono ancora grandi colonne di granito ed altri resti di questo antico tempio. Ma il resto più considerevole è un bellissimo pavimento a Mosaico, il più bello che io abbia visto. Le parti sono così ben unite insieme, che sembra un’immagine continua. Ci sono in esso le figure di un rinoceronte, di elefanti, e di diversi altri animali, con piccoli paesaggi che sembrano molto vivaci e ben dipinti, sebbene siano realizzati con i colori e le ombre naturali del marmo. Non ricordo di aver mai incontrato nessun antico mosaico romano, composto di pezzetti di argilla mezzo vetrificati, e preparati nelle serre, che gli italiani chiamano smalti. Sono molto in uso al momento, e possono essere realizzati di qualsiasi colore e figura piaccia all’operaio, il che è un moderno miglioramento dell’arte, e consente a coloro che vi sono impiegati di realizzare pezzi di mosaico molto più fini di quelli che si facevano prima”.
Addison conclude il capitolo dedicato a queste città parlando del clima mite che vi si gode: “I luoghi accennati in questo capitolo furono tutti anticamente i freschi ritiri dei Romani, dove usavano nascondersi tra i boschi e le montagne, durante gli eccessi dell’estate loro”, e chiude con alcuni suoi versi che Ugo Onorati ha così tradotto: “Tutti se ne vanno dal caldo afoso / di quella stella del Cane furioso, / e dall’Urbe per metà popolata / pel bosco di Nemi è la ritirata, / a Palestrina s’invola qualcuno, / Algido e Tuscolo fan da raduno / per goder l’aria sottile di brezza, / per Tivoli fresca altri s’attrezza”.
Nelle immagini: Joseph Addison in un’incisione di anonimo; Il mosaico Barberini nell’incisione di Agapito Bernardini 1668.