PALESTRINA: LA CITTA’ DEL SOLE

PALESTRINA: LA CITTA’ DEL SOLE

29 Novembre 2023 2 Di angelo

In occasione dei 400 anni della pubblicazione de Il Saggiatore, il trattato di Galileo edito a Roma nel 1623 che pose le fondamenta del metodo di ricerca sperimentale della scienza moderna, il Museo Galileo di Firenze ha organizzato la mostra “La Città del Sole. Arte barocca e pensiero scienifico nella Roma di Urbano VIII”. La mostra, curata da Filippo Camerota con la collaborazione di Marcello Fagiolo, è stata inaugurata il 16 novembre scorso a Palazzo Barberini e rimarrà aperta fino all’11 febbraio 2024.

I visitatori potranno ammirare un centinaio di opere originali, tra dipinti, disegni, incisioni e libri, concesse in prestito da prestigiose istituzioni italiane ed estere. L’esposizione vuole mettere in evidenza il sodalizio tra arti e scienze favorito dalla committenza barberiniana nella capitale del barocco. L’elezione di Urbano VIII, Maffeo Barberini, nel 1623 coincise proprio con la pubblicazione della Città del Sole di Tommaso Campanella, il filosofo che il papa liberò dalla prigionia ed accolse tra gli scienziati della sua corte. A quel modello utopistico, di uno Stato guidato dal Sole, si ispirò Urbano VIII che scelse proprio il sole, insieme alle api, nello stemma di famiglia.

Alla mostra è associato un bellissimo catalogo curato da Camerota e Fagiolo. Si divide in tre capitoli: le Api scienziate, osservatrici del cielo, riguardanti Galileo e gli studi col telescopio; le Api euclidee, misuratrici del tempo, con gli studi sulle meridiane; le Api acrhitette, edificatrici della Città del Sole. In questo ultimo capitolo sono presenti ben due saggi dedicati a Palestrina e alla presenza dei Barberini, il primo di Nicoletta Marconi, il secondo di Laura Cemoli e Rodolfo Maria Strollo.

Il primo saggio di Marconi è intitolato “Palestrina Città del Sole: architettura, utopia e divina magnificenza” (pp. 178-183) e l’autrice vede nel brano di Campanella, “Sorge nell’ampia campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor dale radici del monte…” un chiaro collegamento con la città di Palestrina. La dimora-roccaforte costruita dai Colonna sui ruderi del tempio della Fortuna, fu per i Barberini una chiara occasione per esibire al mondo la conquistata vetta sociale. La presa di possesso del feudo prenestino, che comprendeva anche il titolo di Principe che passò a Taddeo, fu celebrata proprio da Urbano VIII il 16 ottobre 1630, insieme ai nipoti cardinali Francesco seniore e Antonio con un’entrata trionfale in città. Il palazzo baronale costituiva proprio l’utopica dimora del principe della Città del Sole. A Palestrina l’ideologia barberiniana si manifestò con le numerose opere architettoniche e d’arte. Per oltre un trentennio, l’attività edilizia fu molto vivace con la collaborazione di artisti, artigiani e maestranze operanti in Roma e provincia. Furono apportate modifiche al palazzo baronale, edificata ex novo la chiesa di S. Rosalia, il complesso ai Prati, la chiesa di S. Maria degli Angeli, il monastero del Bambin Gesù e la Porta Solis, porta realizzata su progetto di Francesco Contini tra il 1643 e il 1645 e che presenta l’immagine del Sole e l’arme della famiglia nel fornice, proprio per celebrare il trionfo barberiniano.

Il secondo articolo, di Cemoli-Strollo, è intitolato “Un unicum prenestino: la Chiusa ai Prati Bini” (pp. 184-189) e si occupa di un particolare complesso di edifici fatti edificare dai Barberini appena fuori città, nella piana sottostante detta Prati Bini. Il complesso è composto dal Triangolo e dai Casini, a circa cento metri dall’Olmata, attorno ai quali fu realizzato un labirinto vegetale e impiantate delle colture intensive. La progettazione del complesso è unanimemente ascritta a Francesco Romano Contini, ma nuove acquisizioni documentali attestano il figlio Giovan Battista come responsabile dei lavori di costruzione. L’architettura più importante della Chiusa è l’edificio triangolare, con i primi tre piani fuori terra, sui quali si inserisce l’altana a pianta esagonale.

Un altro elemento importante del Triangolo è costituito dalla presenza sulla sommità della fabbrica dei cosiddetti ‘gendarmi’, statue antropomorfe, relaizzate in muratura, prive di braccia e gambe, che presentano finiture plastiche come elmi, busti pettorali e gonnellini; hanno una funzione decorativa ma soprattutto di comignolo. L’articolo è corredato da numerosi disegni planimetrici, grafici e sagome.